“FILUMENA MARTURANO” di E. De Filippo

Con Rossella Rhao e Gianpiero Cavalluzzi – Regia Ivano Capocciama

SINOSSI

“FILUMENA MARTURANO”

di E. De Filippo

Due cuori, due anime, due poltrone e tante, tantissime rose che emanano un forte odore insostenibile. È in questa corniche apparentemente conciliante che si sviluppa la vicenda di Filumena Marturano e Domenico Soriano, due corpi tenuti uniti da un fortissimo odor di rose che li serra e segrega in una dimensione olfattiva all’interno della quale deraglia ogni tentativo di respiro. L’aria, in questa versione “a due” del dramma eduardiano, è irrespirabile, tutto è avvolto da un’esistenza “petalosa” e narcotizzante che avvolge e tiene uniti i due corpi quasi fossero stretti in un abbraccio claustrofobico che non protegge, ma soffoca e uccide. È tutto estremamente “stretto” in questa “Filumena Marturano”, tutto è immobile, bloccato, i movimenti sono ridotti al minimo, ci si muove solo per alzarsi o per sprofondare dalle poltrone, teche domestiche e bare foderate in pelle dove si consuma una noia quotidiana e coniugale. “Filumena Marturano” è una bomboniera troppo profumata che, una volta aperta, lascia che l’aria si riempia di germi che colpiscono i cuori, bloccano il respiro e lasciano che tutto si assopisca in un sonno profondo dove la vita stessa trova, inesorabilmente, la propria fine.

Estratti dalla rassegna stampa

ARTWAVE.IT

Filumena Marturano” in scena al Teatro Ivelise di Roma ha raccontato la donna di Eduardo De Filippo in una cornice magica ma anche disincantata e concreta, tanto da attirare sulla vera e instancabile protagonista tutti gli occhi degli spettatori: c’era solo Filumena, c’era solo la donna, quella di Eduardo”

Filumena Marturano è una di quelle pièce teatrali di Eduardo De Filippo che penetrano insistentemente nel cuore, nello stomaco, nell’anima di chi le ascolta, le osserva e vi partecipa; una di quelle commedie talmente sincere da oltrepassare il labile confine che separa finzione e realtà. Filumena è stata per prima Titina De Filippo (sorella di Eduardo a cui la commedia in tre atti è dedicata), poi Pupella Maggio, Lina Sastri, Mariangela Melato ma anche – nella pellicola cinematografica – l’indimenticabile Sophia Loren.

Filumena è stata una donna, è stata una madre, è stata una moglie. Filumena è e non svanisce, non perisce, ma unisce indissolubilmente chi ama a chi odia, chi soffre a chi è lieto, chi è madre e chi è moglie, chi è donna a chi è uomo, chi è disperato a chi si è irrimediabilmente arreso alla vita.

Perché la forza di Filumena risiede proprio nell’unione e l’adattamento del regista Ivano Capocciama ne esplicita il senso e ne fortifica il messaggio. In sala si respira la tensione già dalle prime battute e l’oscurità della scena è dolcemente illuminata da tre vasi bianchi che custodiscono delle rose di un rosso intenso quasi sangue; ma anche un segreto. Il contrasto tra il bianco, il rosso e il nero, inoltre, realizza quell’atmosfera tra il tetro, l’angosciante e l’esoterico che spinge lo spettatore in un ambiente che non vorrebbe mai visitare perché caratterizzato dalla disperazione: quella di una donna, l’unica vera protagonista della scena.

In Filumena, infatti, tutte le donne ci si possono riconoscere e anche gli uomini ne hanno a tratti paura e a tratti ne sono innocentemente attratti; quasi come fosse una lanterna sempre illuminata dalla quale farsi guidare ma talmente delicata da potersi facilmente bruciare se non maneggiata con cura. Filumena, sapientemente interpretata con voce rotta ma anche imponente da Rossella Rhao, è anch’essa una donna interrotta, sconfitta nella sua dignità di donna e di madre, annientata dalla prepotenza di un uomo che l’ha raccolta dalla strada ma che, per ego e per orgoglio, la lascia consumare lentamente tra le pareti di una casa che lei non ha mai vissuto realmente da donna, se non da schiava: schiava di un amore a cui non sa rinunciare.

Ciò che unisce Filumena al suo Domenico Soriano, quel Domenico Soriano che per anni ha abusato del suo amore, è prepotentemente scaraventato in scena grazie allo sguardo dei due soli interpreti dell’adattamento di Capocciama, i quali sembrano danzare sinuosamente tra odio e amore: è il sentimento, quell’impulso segreto che tra una risata perversa e uno sconforto complesso, riesce a vincere contro le debolezze dell’uomo. Filumena prima ride, sghignazza consapevole che quel Domenico Soriano sarà sconfitto dalla vendetta messa in atto, ma poi si dispera venendo a conoscenza delle regole del mondo, quelle degli avvocati e non quelle di una madre, si dispera di una disperazione a cui è difficile assistere perché si tratta di un sentimento reale,

tangibile: quello di una donna e di una madre, della donna per antonomasia di Eduardo De Filippo.

E allora Domenico Soriano pare improvvisamente vincere quel duello sadico intriso di odio, di passione ma anche di afflizione, almeno fino a quando quei tre vasi in scena non si rivelano per quelli che sono: i tre figli di Filumena.Tre vasi, tre fiori, tre figli: è il tocco del regista che vuole porre l’attenzione sulla natura stessa di un amore che non può non vincere, l’amore materno, l’amore per i figli, l’amore per la famiglia.

Filumena e Domenico si guardano e si comprendono, nonostante non tutti siano figli dell’uomo, e Filumena, per la prima volta nella sua tormentata esistenza riesce a piangere, scoppiando in lacrime in un pianto lungo quanto una vita. È questa la Filumena di Ivano Capocciama, è questa la donna di Eduardo De Filippo, è questa l’esperienza del Teatro Ivelise: un luogo magico che per qualche ora riesce completamente ad attraversare l’anima di chi vi entra.

(Delia Amendola)

THE PARALLEL VISION

[…] Come nel caso di “Filumena Marturano”, importantissima commedia di Eduardo De Filippo scritta nel 1946 e per l’occasione interpretata da Rossella Rhao e Marco Landola. La regia e l’adattamento invece sono stati curati da Ivano Capocciama. Tradizione e innovazione, dicevo: promessa che non sempre è semplice mantenere nel gioco degli equilibri artistici.

Di certo lo spettacolo portato in scena lo scorso 26 ottobre permette di analizzare quanto la potenza di una drammaturgia eccelsa possa superare le dimensioni dello spazio e del tempo e mantenere intatta poesia e bellezza originaria pur nelle sperimentazioni alle quali può essere sottoposta.

…La lettura che ne offre il lavoro di Ivano Capocciama evidenzia il senso claustrofobico di un amore che trova il punto più alto della sua espressione nel momento massimo di sofferenza dei protagonisti. La scenografia racconta di uno spazio piccolo, che non lascia possibilità alle scelte di Filumena (Rossella Rhao) e di Domenico Soriano (Marco Landola). 2 vecchie e logore sedie simboleggiano la borghesia. Rose e vasi di rose sembrano essere la metafora dell’impervio percorso che si necessita nella vita per raggiungere il cuore della felicità.

(Raffaella Ceres)